Come le imprese possono creare valore (senza rinunciare alla sostenibilità economica)
Questo articolo nasce dalla volontà di condividere un importante cambiamento.
Durante questo anno sciagurato e più in particolare durante il lockdown ho avuto tanto tempo per riflettere e per pensare ai quasi dieci anni di esperienza professionale.
Mi sono quindi chiesto cosa fosse andato bene e cosa no, ma soprattutto cosa mi fosse piaciuto di più.
E qui è avvenuto qualcosa di curioso: mi sono reso conto di aver ricordato istantaneamente non tanto quelle case history dove ho avuto modo di guadagnare di più, ma quei progetti che in qualche modo mi hanno permesso di trovare il mio Ikigai*, un punto di equilibrio tra ciò che ami fare, ciò che serve al mondo, ciò che sai fare e ciò per cui puoi essere pagato.
Parliamo di imprenditori con cui ho avuto modo di creare un certo grado di empatia, team con cui abbiamo cercato di salvare i compagni di squadra prima di far guadagnare di più l’impresa, progetti imprenditoriali che perseguono il miglioramento della sostenibilità ambientale del nostro pianeta.
Posso dire quindi di aver avvertito un’esigenza: quella di cercare di lavorare in progetti che, oltre al perseguimento della marginalità economica, provassero in qualche modo a creare valore.
Cercherò di spiegare cosa intendo per le due condizioni sopra esposte, il perseguimento della marginalità economica e la creazione di valore.
Per quanto riguarda la marginalità economica, ritengo che il discorso nasca da alcune lacune e criticità del nostro sistema.
Da un lato abbiamo la poca cultura imprenditoriale che spesso porta a idolatrare le imprese che fatturano tanto, mentre in realtà quando si parla di risultati bisogna stare attenti alla marginalità: ciò che conta è quello che rimane in tasca, non quanto abbiamo incassato al lordo dei costi.
Dall’altro lato abbiamo numerosi consulenti avventati e incubatori che continuano a lavorare e formare imprenditori, startup e PMI con una mentalità “americana” che poco si addice al Belpaese (ad esempio, brucio cassa all’infinito con un revenue model o un go to market troppo lontani, perdo il controllo della mia startup dopo i primi due investimenti), portando così tante imprese a non raggiungere il primario obiettivo della sopravvivenza.
Per quanto riguarda invece il concetto di creazione di valore, prenderò in prestito una definizione di un Professore universitario a me molto caro (grazie @enrico deidda gagliardo e @cervap), che nel suo libro “Il Valore Pubblico – la nuova frontiera delle performance” (RIREA, 2015) fornisce la seguente definizione di creazione di valore per il contesto pubblico: “Un ente genera valore (pubblico) quando migliora il livello di benessere sociale della propria collettività di riferimento, creando sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente”.
Da questa definizione, tra i tanti, possiamo analizzare due elementi fondamentali:
I. gli stakeholders (interni ed esterni) che, con i loro bisogni, sono il cuore del processo di creazione di valore;
II. la considerazione che per riuscire a generare valore è necessario creare uno sviluppo economico sostenibile in una prospettiva migliorativa di lungo termine.
Proviamo ora a ribaltare il punto di vista e adattare questa definizione creata per il settore delle pubbliche amministrazioni, al settore privato:
I. anche l’impresa lavora per degli stakeholders: naturalmente clienti, soci e investitori, ma in realtà anche i dipendenti dell’impresa stessa, le loro famiglie, i partner, i fornitori, le imprese dell’ecosistema e così via;
II. lo sviluppo economico a lungo termine dell’impresa è proprio la prima condizione sopra esposta.
Conseguentemente, facendo un po’ di bricolage**, possiamo adattare la definizione:
“Un’impresa crea valore quando migliora il livello di benessere interno alla stessa e dell’ecosistema di riferimento, creando sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente.”
Concretamente quindi sembra complicatissimo poter creare valore per un’azienda.
Ma, non è così.
La creazione di valore per un’azienda passa per singoli gesti quotidiani, nel raggiungimento di una visione più profonda: prima di tutto si tratta quindi di riuscire a creare e far accettare la mentalità giusta e poi saper essere in grado di passare dal dire al fare nel modo più veloce possibile, come del resto suggeriva anche Mark H. Moore nel suo libro “La creazione di valore pubblico. La gestione strategica nella pubblica amministrazione” (Guerini & Associati – 2003).
Tuttavia se alla lunga i piccoli gesti non sono incastonati all’interno di una cornice, si rischia di compiere azioni sparse, senza un reale filo logico.
Conseguentemente diventa necessario riuscire a implementare due attività di natura diversa:
I. cercare di individuare non solo piccole attività quotidiane, ma anche obiettivi più ampi all’interno dei quali poter valutare effettivamente il miglioramento del livello di benessere interno all’azienda e dell’ecosistema di riferimento a medio e lungo termine;
II. utilizzare KPI (Key Performance Indicators): gli indicatori chiave di performance sono tutto ciò che rende concreta ed oggettiva una determinata attività. Ci permettono di programmare, monitorare e valutare con i numeri la nostra performance.
“If you can’t measure it, you can’t improve”: se vogliamo verificare l’avanzamento tra un’ipotetica fase A e un’ipotetica fase B, l’unica modalità che abbiamo è utilizzare i KPI. Attenzione quindi, come per il binomio marginalità- fatturato, ad utilizzare gli indicatori che contano realmente, non quelli “vanitosi” (per citare un altro esempio, all’interno di un funnel di vendita online dove l’obiettivo è la vendita, non importa quanti likes abbiamo preso su un determinato post, ma quanto abbiamo convertito gli utenti all’acquisto).
Per farla semplice, si tratta di andare a implementare una ricetta, fatta di due ingredienti fondamentali, obiettivi a medio-termine e attività a breve termine, condita con dei croccanti KPI. Parliamo di un sistema su due livelli (obiettivi e attività).
Come sempre, cerchiamo di essere concreti con due esempi:
· obiettivo a medio-lungo termine: ridisegnare in modo sostenibile l’ambiente di lavoro. KPI: qualità dell’aria, superfici lavorative illuminate da luce naturale.
o attività a breve termine: inserire sistemi di vertical farming in azienda.
KPI: far crescere nuove piante che migliorano la qualità dell’aria.
· obiettivo a medio-lungo termine: cercare di migliorare l’equilibrio vita-lavoro dei dipendenti: KPI: stato di benessere dei dipendenti (attraverso questionari)
o attività a breve termine: implementare un sistema di lavoro agile condiviso dove i lavoratori possano scegliere dove lavorare. KPI: numero processi svolti o numero obiettivi raggiunti a seconda della metodologia lavorativa utilizzata***.
Arrivati a questo punto non resta che mettere in pratica un ciclo continuo che ci consenta di creare valore:
I. Misurando: il primo step è cercare di misurare lo stato dell’arte attuale e cercare di programmare la performance con adeguati KPI;
II. Sviluppando: il secondo step è relativo al passare dal dire al fare e provare a testare le nostre attività che creano valore;
III. Innovando: il terzo e ultimo step è una naturale conseguenza del secondo; infatti attraverso la tenacia nell’esperienza e nella pratica di implementazione delle attività e attraverso l’utilizzo del giusto mindset e della giusta metodologia, il risultato positivo del cambiamento è dato dal miglioramento complessivo del livello di benessere interno all’azienda e dell’ecosistema di riferimento. Sono ormai 11 anni (19 Ottobre 2009 è la data della discussione della mia tesi di laurea triennale) che ripeto che innovazione non è niente di trascendentale, innovazione è qualsiasi cambiamento che porti ad un miglioramento.
Last but not least, il campo di applicazione. Non dovete essere una grande corporate o una pubblica amministrazione per implementare questo ciclo: in queste tipologie di organizzazioni in realtà è molto più difficile farlo.
Potete essere una piccola o media impresa, un libero professionista, una startup, una ditta individuale, chi volete.
Per creare valore non è necessario essere degli imprenditori affermati, degli innovation manager o dei professori universitari: basta solamente aderire a questa mentalità e concretamente ed elasticamente implementare un ciclo continuo di misurazione-sviluppo e innovazione finalizzato a migliorare il livello di benessere interno all’organizzazione e dell’ecosistema di riferimento, creando sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente.
In conclusione, ciò che conta non sono le dimensioni ma la volontà di contribuire ad un cambiamento più importante, paso a paso***, tutti insieme.
Abbiamo bisogno di imprenditori visionari, virtuosi e coraggiosi.
Abbiamo bisogno di lavoratori che siano essi stessi il cambiamento che vogliono vedere.
Abbiamo bisogno di consulenti che cerchino servizi per i loro clienti, non clienti per i loro servizi.
Abbiamo bisogno di fornitori e competitors che ci stimolino ad alzare l’asticella.
Abbiamo bisogno di investitori che non ricerchino soltanto un ritorno economico importante ma anche un ritorno di benessere sociale e ambientale importante.
Abbiamo bisogno di clienti che ci chiedano prima di tutto di creare valore.
Io ho cominciato da qui. Siamo in pochi, o meglio, ci dicono che siamo pochi; ci prendono per folli e ci dicono che siamo solo un branco di pecore nere e pirati senza un’isola a cui tornare.
Secondo me invece, siamo tantissimi. Qualcuno si vuole aggiungere?
*Ikigai (生き甲斐) è un termine giapponese che, tradotto in italiano, significa “qualcosa per cui vivere” o “una ragione per esistere”
** bricolage è innovazione perché l’innovazione guadagna dall’incertezza e dalla necessità di ri-pensare a ciò che abbiamo e possiamo fare in chiave diversa.
*** il tema sulla metodologia di lavoro aprirebbe un altro importante dibattitto tra coloro che lavorano per tempo e coloro che lavorano per obiettivi
**** paso a paso: passo dopo passo, come mi disse a inizio 2020 un imprenditore che mi ospitò a Cuba, che cercava solamente di consolare le mie lacrime nel momento in cui per la prima volta nella mia carriera mi sono trovato a non riuscire ad aiutare, anche nel piccolo, un imprenditore alla ricerca di soluzioni in un ecosistema difficile. Ma questa è tutta un’altra storia.